L’astronave

C’era una volta, sì, c’era una volta un’astronave nascosta. Era un’astronave non molto attraente vista dal fuori, una cosa semplice, piccola, che non ha nulla da dirti se non ti fermi a guardarla per un po’. Era un’astronave nascosta in un campo. E c’era scritto da una parte piccolo piccolo piccolo un nome. Era un’astronave nascosta in un campo e si chiamava “Se Vuoi”.

Era un’astronave molto particolare perché poteva essere vista soltanto dalla persona che avrebbe potuto pilotarla, una sola. Nessun’altro avrebbe potuto pilotare quell’astronave. In quel piccolo mondo c’era un’astronave per ogni uomo, ognuno aveva la sua, anche se non tutti lo sapevano o erano interessati a cercarla.

“Dunque” – pensò tra sé e sé Marta – “se io ora vedo con i miei occhi quell’astronave, significa che quell’astronave è per me”.  E spaventata fece un balzo indietro e si strusciò gli occhi per un po’, per vedere se era vero o era soltanto un sogno.

La vedeva, ancora. Era impreparata. Suo nonno quand’era bambina le aveva raccontato quella storia dell’astronave e le aveva detto di stare attenta, e di non credere a chi avrebbe avuto la pretesa di dirle ciò che si può e non si può cercare, desiderare, capire. Le aveva detto di continuare a cercarla, sempre.

Sì, però era strano tutto ciò che stava vivendo, non capiva perché proprio quel giorno, lei stava passeggiando, come ogni altro giorno, immersa nei suoi pensieri e nei suoi mille impegni; non capiva perché proprio in quel luogo, ci passava da sempre, da quando andava alle elementari; non capiva perché proprio in quel modo, nel silenzio del tramonto, senza un boato, senza un preavviso, senza un rombo violento.

Aveva paura

“Insomma qualcun altro mi aveva raccontato dell’astronave e della possibilità di entrarci e navigare, ma erano sempre racconti lontani, così poco vicini a me, alla mia vita. Perché ora mi trovo invece davanti a questa navicella grigia con quattro gambe e una luce blu sopra? E chi mi dice che non è un’allucinazione, un sogno, una pazzia? E chi mi dice che se mi avvicino non mi succede niente? Che non c’è nessuno che mi prende e mi rapisce? Che cos’è quest’attrazione che provo, questo desiderio di scoprirla? Aiuto, forse è meglio se torno a casa e dimentico tutto. Non vorrei che fosse venuta a portare problemi alla mia vita.” – mille pensieri le cozzavano in testa, si scontravano violenti, e sentiva una battaglia forte dentro di sé tra quell’invito a scoprire il suo cielo nascosto e quelle voci che le dicevano “falla finita e torna a fare quello che facevi, quello che tutti fanno”.

L’astronave se ne stava lì, silenziosa, poco appariscente. Solo si vedeva quella microscopica scritta “Se Vuoi”. Marta però era ancora lontana e forse non distingueva bene le lettere; ma non era preoccupata di sapere che cosa ci fosse scritto, solo doveva cercare di trovare il vincitore in quel campo di battaglia che era il suo cuore.

Era immobile e le tornavano alla mente le parole del nonno: “Marta arriverà anche per te il giorno di dover decidere se salire sull’astronave o rimanere giù, la scelta sarà tua e solo tua. Sappi però che ci sarà una persona che ti potrà aiutare, qualcuno che ha deciso, ha scelto, qualcuno che non ha avuto paura di salire su. Affidati a lei, consigliati con lei, non nascondere tutto nel tuo cassetto, perché nasconderesti il tesoro più prezioso della tua vita. Io non so quando arriverà la tua astronave, forse non ci sarò più, non so in che modo, ogni astronave ha delle rotte sue, diverse da tutte le altre astronavi del mondo. Sappi ancora però un’ultima cosa: sarà la tua poesia, il tuo desiderio, il tuo progetto, il dono grande per la tua vita. Scegli bene, Marta. Io, se non sarò qui, ti guarderò da una stella e pregherò per te”.

Le lacrime le bagnarono gli occhi e qualche corda profonda vibrò dentro di sé. Alzò lo sguardo al cielo e vide spuntare la prima stella della sera, quella che si vede subito dopo il tramonto, quando il cielo è limpido e ancora chiaro.

Allora continuò a pensare e ad ascoltare quella voce dentro di sé e spuntò subito questa domanda tra le mille che aveva dentro: “ma io ce l’ ho una meta?”. Fiumi di mete le passarono addosso: la laurea, il lavoro, la carriera, il fidanzato, la famiglia, il benessere, il fisico, la bellezza… e ancora e ancora.

Allora cambiò un pochino la domanda: “ma io che l’ ho una Meta?”. Silenzio.

Tutte le mete che le erano passate addosso come un fiume in piena erano modi di “fare qualcosa”, di “avere qualcosa”. Eppure sentiva invece che la sua Meta era un modo di “essere”.

Difficile

Passò un po’ di tempo, un minuto o un anno, un po’ di tempo che non servì per capire, perché Marta non ci aveva capito nulla dall’inizio, ma per decidere se rischiare, se effettivamente valeva la pena tentare di scoprire il significato di quell’astronave nascosta, piombata così “per caso” nella sua vita.

“Sì” disse a sé, “sì”. Avrebbe voluto urlare anche fuori “sì” ma le parole le si strozzavano in bocca, in gola, nel fiato. Sentiva un tumulto dentro, era un tumulto di gioia: voleva correre, saltare, camminare sulle mani, voleva cantare, abbracciare, ballare, giocare, ridere, scherzare, voleva Amare.

Voleva Amare

Voleva Amare

Le domande non si erano spente; erano ancora presenti e pressanti i “ma come farò? Ma cosa dirò? Mi prenderanno per pazza, mi porteranno per bocca, mi additeranno come diversa. Anche i miei amici si preoccuperanno. Tutti mormoreranno. Tutti sapranno ciò che io non so. Tutti avranno da dire la sua…”, erano ancora presenti i dubbi “e se fosse tutto un bluff, una fantasia, un sogno? E se fosse solo finzione? E se… e se… e se…?”, erano ancora forti paure vecchie e nuove.

Ma c’era un “sì” e un desiderio che dava forza e senso a tutto questo

E c’era una strada, un cammino, una rotta nel cielo

E c’erano compagni di viaggio, pellegrini, astronauti come lei

E c’era una guida, qualcuno che già conosceva la via, che sapeva rispettare i tempi, che capiva quando c’era bisogno di una sosta, che conosceva le esigenze singole di ognuno, e le motivava, e le esaltava, e rendeva ognuno bello perché era se stesso.

E Marta si mise il casco, e, come spesso succede, dopo il primo boato sentì che era molto più facile di quello che pensava, sentì che quando ci viene chiesta una cosa è perché noi possiamo compierla, che non ci viene mai offerto l’impossibile, ma il possibile da costruire con meraviglia.

E quel volo era un possibile creduto impossibile. E quell’astronave era esplorabile e faceva molta meno paura quando la iniziavi a conoscere un po’, anche se scoprivi che era più complessa del previsto, e aveva stanze piccole ma che custodivano tesori di valore inestimabile e di indicibile bellezza.

E non avrebbe mai pensato che potesse portare in rotte tanto diverse per ogni astronauta ma incredibilmente belle, rotte che lei non si immaginava proprio.

“Le meraviglie del cielo” – le diceva il nonno – e il cielo che era stato dato a lei di esplorare era davvero meraviglioso, nonostante le sue resistenze, i suoi occhi chiusi, i suoi limiti di sempre, era un cielo meraviglioso.

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