Alcune parti tratte dal libro di Jean Bastaire Matrimonio: amore senza fine
La tirannia del piacere
Il godimento permesso dalla rimozione di una censura è amaro, perchè resta permissivo e, non lavato della sua vergogna, avendone solo girato la faccia, contemplato e mostrato il rovescio, non genera alcuna sanità del sesso, alcun rispetto dell’erotismo.
Eros ha bisogno di tempo per stabilizzarsi, fiorire… è una realtà troppo seria, troppo coinvolta nelle profondità umane e troppo ricca di avvenire per essere lasciata all’istantaneità.
Paolo ha delle espressioni molto forti per esprimere il possesso o piuttosto lo spossesso sensuale reciproco degli sposi. “La moglie non è padrona del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è padrone del proprio corpo, ma lo è la moglie” (1Cor 7,4).
L’erotismo non sfugge a una logica trinitaria… Un terzo è sempre presente quando l’unione è aperta e si realizza un vero scambio, quello dell’io contro l’altro. Né l’uno né l’altro esistono più. Un terzo sorge dai due o è chiamato alla loro comunione.
L’idolatria della passione
L’uomo e la donna che si abbandonano all’erotismo passionale cercano ciecamente Dio nell’altro membro della coppia. Sono sicuri di avercelo visto e pensano di trovarvelo. Ma lui non è dove essi hanno creduto di percepirlo. Un’illusione intollerabile lacera gli amanti. Essi sono torturati da una confusione folle che fa loro prendere per sorgente ciò che non è che riflesso. Non hanno torto nello scorgere uno splendore in un incontro che li metamorfosa e li illumina. Ma essi non sono né l’origine né la fine.
Per divenire sposi e consumare delle sane nozze, occorre che gli amanti non vivano più un rapporto idolatrico, che rinuncino a costruire questo gigantesco castello di nuvole i cui fascini menzogneri li smarriscono per confonderli infine in un comune disastro.
Nessuna creatura può essere la fonte o la destinazione di un assoluto qualsiasi. La verità del cuore esige che quest’ultimo confessi la sua totale incapacità a adempiere al ruolo dell’adoratore e dell’adorato.
(Gli sposi) non sono nulla quanto il Tutto non li abita, e si potrebbe dire che lo sono ancora di più quando li abita, perché allora è Lui che vive in loro, non loro stessi: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
Nel dialogo fra gli amanti è Dio che dona Dio e riceve Dio, non loro stessi… Quest’ultimo li implica e li mobilita, ma per assicurare fra di loro la libera circolazione dell’amore.
La fedeltà del dono
Non è il prete a unire gli sposi come si potrebbe pensare, ma sono gli sposi stessi che, con l’espressione della loro volontà, prendono sacramentalmente possesso l’uno dell’altro e si donano sacramentalmente l’uno all’altro nello scambio del loro consenso.
L’amore è certo vulnerabile, ma ha sempre l’ultima parola.
La fedeltà è un atteggiamento consistente nell’aver fede in qualcosa o in qualcuno e nel tenervi fede.
Essere fedele è avere fede nel coniuge.
Non avendo il loro centro di gravità in se stesse, le nozze non costituiscono un circolo chiuso in cui ricondurre tutto agli sposi, ma fanno degli sposi una sorgente di gioia e di fecondità che si estende, per quanto in misura modesta, al resto del mondo.
La felicità degli sposi non ha senso se non quando accende quella dell’altro.
Le notti dell’anima esistono nell’unione coniugale come nell’unione mistica.
Le nozze che non sono crocifisse non sono promesse al loro compimento finale.
Le nozze varcano la morte che tuttavia non le cancella. Esse sono irrevocabili. Operatrici di eternità, raggiungono il loro esaudimento totale nell’eternità.
Le nozze creano una sola carne senza diminuire l’alterità delle persone.